LA SINDROME DELL’IMPOSTORE: ASPETTI TEORICI E CLINICI

Una condizione diffusa, che porta molta sofferenza in chi ne è affetto. Ma che cos’è davvero la sindrome dell’impostore?

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Per la prima volta individuata e descritta nel corso degli anni settanta in un campione di donne, da due psicologhe della Georgia State University (Clance & Imes, 1978), la “Sindrome dell’impostore” si configura come un’esperienza interna di non autenticità rispetto alle proprie capacità intellettuali. In sostanza, si tratta di un fenomeno psicologico per cui una persona, pur avendo raggiunto significativi traguardi professionali e formativi, continua a temere di essere poco intelligente o brillante, fino ad arrivare a ritenere di aver in qualche modo ingannato coloro che la pensano diversamente.

La persona dunque prova, nel profondo, un grande senso di inadeguatezza che permane nonostante gli evidenti successi ottenuti. E questo limita la sua possibilità di esporsi quando si tratta di mostrare la propria conoscenza, i propri traguardi e così via.

La sindrome dell’impostore però non riguarda solo le donne. E allora cos’è che caratterizza queste persone? Sono ciò che si intende letteralmente con la parola “impostore”? Sono persone che si scrollano di dosso i complimenti per falsa modestia?

No. Ciò che davvero accomuna le persone caratterizzate da questa condizione è il fatto che tutte dubitano delle proprie capacità, nonostante le evidenze, e temono di fallire quando verrà loro richiesto di ripetere le precedenti performance o di dar prova del proprio talento.

Sono persone dolorosamente consapevoli di ogni singola mancanza all’interno delle proprie conoscenze, che si paragonano agli altri finendo sempre per considerarsi come meno meritevoli, meno intelligenti, meno preparate. Questo vissuto, al contempo, le spinge a cercare di provare a se stesse che si sbagliano, sforzandosi continuamente di ottenere l’eccellenza per uscire da questo terribile conflitto interiore.

Ma le strategie con cui perseguono tale scopo, non sono efficaci e finiscono per riconfermare l’idea di sé temuta; l’eventuale riconoscimento del successo produce solo un temporaneo sollievo dalle emozioni negative. Le prove delle proprie capacità, così come le lodi, vengono dunque distorte e scartate, rendendo impossibile un’interiorizzazione dei propri successi. Alle occasioni successive, i risultati già collezionati vengono negati, e il ciclo riparte dall’inizio.

Il permanere dei dubbi e dell’ansia conseguente ad essi, le spinge spesso a ricoprire posizioni inferiori rispetto alle proprie abilità e ai propri titoli. Il successo suscita paura e colpa, soprattutto per le sue conseguenze; tale senso di ‘minaccia‘ può riguardare il timore di perdita delle relazioni, del proprio status di genere, familiare o religioso; ma può anche riguardare l’assunzione di responsabilità o la messa alla prova delle proprie competenze.

Oltre a ciò, poiché la dolorosa sensazione di essere un impostore viene mantenuta segreta, nel tempo aumenta la percezione di essere sole e uniche nella propria vergogna, e rinforza l’idea di non poterla condividere con nessuno (Clance, 1985).

 

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